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Un paracadute arcobaleno

Mentre gli striscioni alle finestre sbiadiscono e con loro sbiadisce quel ritorno a quella “normalità” alla quale ci hanno detto che saremmo tornati, il mondo cambia e noi non siamo migliorati. Siamo rimasti gli stessi. O forse siamo diventati peggiori. Di sicuro siamo più soli, con un’ansia ancora maggiore nei confronti del futuro. Paura e solitudine. E così capita che in Italia una donna che torna libera, liberata dopo una lunga prigionia, venga giudicata proprio in quanto donna per scelte personali che la emancipano da quel ruolo di donna oggetto che la società patriarcale le assegna, così capita che in America un poliziotto bianco uccida brutalmente un uomo nero per il colore della sua pelle in una sorta di vetusto ma tristemente attuale pensiero manicheo di bene e male bianco e nero superiorità e inferiorità, così capita che gli Stati fatichino nel trovare soluzioni che tutelino i cittadini e che i tempi della burocrazia siano pericolosi tanto quanto la pandemia e che poi quegli stessi Stati decidano di riaprire i confini ma lo facciano escludendo qualcuno e capita che ci si ritrovi dalla parte degli esclusi dei respinti di “loro”.


E io in tutto questo non riesco a respirare. E io in tutto questo non riesco a ritrovare quella “normalità” che già prima della pandemia mi risultava stretta, invischiata in schemi sempre identici a sé stessi, incatenati a immagini di un mondo che non c’è o non c’è già più. E, sinceramente, non ho ancora capito come rifondare il mito, non ho capito la direzione, non ho decriptato il buio dell’insicurezza che ci avvolge. Eppure, eppure ho proposto ad Andrea di sposarmi. Eppure siamo ancora qui.

In tutto questo ci siamo noi, singoli individui disabituati agli abbracci ma terribilmente in astinenza di affetto e di contatto fisico e di sorrisi, quelli oggi nascosti da mascherine che ci proteggono dal virus ma non dal distanziamento sociale. In tutto questo ci sono io, che ho ricominciato a vedere la mia terapeuta in studio dopo averla sentita in questi mesi solo in video-chiamata. E ammetto che l’effetto che mi ha fatto rivederla è stato strano: ora c’è un plexiglas che ci divide ma che al tempo stesso ci permette di parlare senza mascherina. Ora ci sono io che sono cambiato e che in fondo sono sempre lo stesso, ma che forse sono più consapevole. Ora ci sono io che ho fatto una proposta importante al mio compagno ma ho paura del futuro. E lo ripeto. E mi ripeto. Ma lo faccio perché poter pronunciare qualcosa significa (come ho sempre detto) avere meno paura di quello che con le parole si è riusciti a materializzare.

In questi tre mesi di lockdown ho cucinato, imbiancato, letto tantissimo, abbracciato mia madre e mio fratello, portato il mio cane a fare una passeggiata. E ho temuto che tutto sarebbe crollato di nuovo perché gli impegni, lavorativi e affettivi, si sono azzerati, lasciandomi da solo con il mio silenzio e il mio tempo sospeso. Non ho avuto in questi mesi nessun obiettivo, che ho imparato con la psicoterapia essere stati l’unica cosa che mi ha tenuto in vita in questi anni. Il raggiungere obiettivi, dico. Al punto da aver cominciato a sovrapporre il raggiungimento dell’obiettivo con l’essere amato, l’essere apprezzabile. E invece, mi sono riscoperto diverso. Diverso in tante cose, diverso da quella volta che ho detto alla mia terapeuta, con una punta di disperazione nella voce: «Io non conosco altro modo di esistere se non raccontare quello che faccio». Ma ora non è più così.

E i dolori vengono ritardati dal corpo che tende a proteggerci finché riesce. E probabilmente i risultati di questo periodo li vedrò più avanti, li scoprirò e li scopriremo con il tempo. Ma intanto tiro le somme e metto alcuni punti per ora fermi. Consapevole che tutto è in un movimento fluido. Consapevole che non ci si bagna due volte nello stesso fiume. E che ora ho strumenti nuovi e forse sono inesperto, ma di sicuro mi ritrovo diverso.

Infine, c’è la mia terapeuta che quando una settimana fa ci siamo rivisti di persona mi ha detto: «Sono molto colpita, perché davanti a me rivedo un “Mattia” diverso da quel “Mattia” che abbiamo conosciuto a settembre. O meglio, è vero che “Mattia” è ancora su un aereo in alta quota e ogni tanto prova l’istinto di buttarsi di sotto. Ma il “Mattia” di oggi ha meno paura perché si è costruito un paracadute bellissimo, un paracadute con un arcobaleno di colori. I colori più belli che riesca a immaginare.»

Dunque, forse è tutto qui: un paracadute arcobaleno.

(questo articolo nasce dopo una seduta con la mia terapeuta e dopo l’ultimo intervento a Piazza Pulita di Stefano Massini)

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