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Il disturbo mentale si cura

Un mese fa scrivevo un post sui miei canali social che faceva discutere: sebbene nascesse dalla convinzione che il dolore riconosce e nel dolore ci si riconosca, non tutti sono stati pronti ad ascoltare e a far emergere. Certe cose sembrano dover ancora essere relegate al silenzio della vergona e da quel limbo non possono che uscirne maltrattate e confuse. Ho abbracciato totalmente la mia omosessualità nel momento in cui l’ho urlato al mondo, ho cominciato a stare meglio quando ho cominciato a raccontare a me stesso che non era solo tristezza quella che stavo provando ma un sentimento che mi stava sovrastando fino a portarmi nell’abisso. Riporto qui quel post che celebrava un’anniversario che inevitabilmente ha segnato e segnerà per sempre la mia vita. Un mese fa scrivevo le frasi che seguono.

«Sembrano dei chicchi di riso, ma se ne stanno ordinati in un blister in file da tre. La psichiatra ha detto che gli psicofarmaci non fanno più ingrassare, che non danno più sonnolenza. Imploro che mi faccia rimanere me stesso. Mi dice che serve per attutire il dolore. Non posso fare altro che fidarmi. La prima volta che assumo una pastiglia piango così forte che Andrea deve reggermi il bicchiere. Deglutisco. Ho iniziato. E ho continuato. Nel dolore. Contro il dolore.Un anno oggi. E ricordo come se fosse ieri tutto. Anzi, lo realizzo con spietata concretezza facendo un feroce paragone che segue i giorni del calendario: ogni giorno di quest’anno in relazione alla condizione in cui ero lo stesso giorno dello scorso anno.La psichiatra arriva dopo altri cinque specialisti scartati per i modi. È gentile. «Sertralina, 50mg, 2 volte al die». Dice che unita alle benzodiazepine tre volte al giorno, mi aiuterà a mettere a posto le cose. «Ci vorrà un mese prima che entri a regime, per questo ti ho prescritto anche dell’Alprazolan». Mi fido. Sto peggio. È il mese più lungo di tutta la mia vita. Mi interrogo su tante cose, non ho tempo di aspettare, sto male. Vedo la morte da molto, troppo vicino.«La sertralina è un farmaco della classe degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI)». Me lo dice Wikipedia, me lo spiega Andrea. Mi culla di notte mia madre nel suo letto matrimoniale, aspettando che le benzodiazepine entrino in circolo.«Ma sei così giovane!». E lo sono davvero. E davvero mi domando se sia una questione chimica. Ma provo a credere. Perché non vedo alternativa che non sia il suicidio. I pensieri pian piano si placano.«I farmaci da soli non bastano, serve la terapia e tanta forza di volontà. I farmaci sono un sostegno». E io mi ci aggrappo.Un anno oggi. Benzodiazepine scalate, dose di sertralina raddoppiata, il controllo dalla psichiatra a breve. Ora, però, rispetto a un anno fa, le gambe reggono.Lo scrivo. Affinché lo stigma sociale sulle malattie mentali e gli psicofarmaci sia sempre più accantonato per lasciare spazio alla guarigione. Restano le cicatrici. La bellezza della fragilità. E posso raccontarla. Anche grazie a quei farmaci.»

Non ci leggo nessuno scandalo, ci leggo solo la paura che possa capitare ad altri. Che senso ha provare dolore se di quel dolore non ci si fa poi testimoni e in quel dolore ci si riconosce? Mi piacerebbe vederla e pensare in modo diverso, ma, parlando della mia depressione, l’ho sempre descritta come un mare di pece che sommerge tutto e che collosa appiattisce al suolo. Ci sono voluti i farmaci, c’è voluta la terapia. C’è voluto tempo.

Per questo, nella Giornata Mondiale della Salute Mentale, cerco di mettere insieme le idee, provo a dare un mio contributo. Il tema scelto per il 2020 è “Salute mentale per Tutti, maggiori investimenti – migliore accesso. Per Tutti, ovunque”. L’OMS stima che circa un miliardo di persone conviva con un disturbo mentale e che ogni quaranta secondi si verifichi un suicidio. La pandemia e il lock-down hanno poi aggravato e aggraveranno la situazione. Cosa fare? Parlare. Parlarne. Il disturbo mentale si cura. Per questo scrivo, per questo (attenendomi al tema e se siete di Milano) vi consiglio lo studio della dottoressa Claudia De Carolis in piazza Wagner, un luogo che mi ha accolto e fatto sentire ascoltato. Parlare. Perlarne. Si cura. Senza vergogna.

(vi lascio qui un articolo più esaustivo e divulgativo sull’iniziativa e vi rimando al sito del Ministero della Salute per ulteriori informazioni)

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