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Di cosa parlo quando parlo d’amore

Caro Angelo, nel giorno del tuo compleanno e del santo che ti ha dato il tuo secondo nome, ci tenevo a raccontarti di cosa parlo quando parlo d’amore. Ci ho messo anni a elaborare la separazione dei miei genitori. All’inizio mi scocciava ammettere che ci stavo mettendo così tanto tempo, vivendo con l’ansia il fatto che quella ferita originaria avrebbe potuto divorare e stesse già divorandomi tutto, e che al tempo stesso tutto sarebbe stato da me ricondotto solo a quello e che non mi sarei mai accorto del resto. Mi ci è voluto del tempo, sì, ma dopo anni di terapia, è bastato soffiare sulla cenere ancora tiepida di un divorzio strascicato per rendermi conto che sotto tutte le macerie avevo trovato quello che stavo cercando: la consapevolezza di essere stato non solo figlio di una separazione, ma di essere stato figlio di un atto d’amore. E non puoi capire quanto questa cosa mi abbia liberato.

È da quel momento che mi è stato chiaro razionalmente che io d’amore ne potessi parlare e che addirittura l’amore fosse il mio “senso”. Perché da quella separazione sono passati anni e tutte le storie le ho vissute nel terrore della fine, nell’ansia anticipatoria del doversi salutare, nell’estrema paura della morte vista come ultima separazione che divide le volontà più ferree. E mentre mi scoprivo, mi allenavo nel viverlo l’amore senza parlarne troppo perché se una cosa non si dice non accade e io intanto amavo e non lo sapevo. E non avevo la forza di raccontarmelo. Ho conosciuto Andrea, ed è stato lui a darmi gli strumenti per non aver paura del parlare d’amore, è stato unendo le forze di ciò che mi accadeva e di ciò su cui stavo lavorando a livello razionale ed emotivo che ho attutito quel terrore, quell’ansia e quella paura.

E di nuovo, mentre costruivo un lessico che doveva necessariamente passare per una risemantizzazione emotiva, dopo un periodo lunghissimo con Andrea, che mai avrei immaginato di vivere insieme a una persona, ho scoperto ancora una volta che d’amore avrei imparato a parlarne solo dopo, passando nuovamente per un’esperienza pratica ed emotiva prima di poter imparare le parole per raccontarla. Che forse è la normale esperienza delle cose e di come impariamo il mondo e tutto il resto. E che gioia sconfinata imparare e che gioia sconfinata lo scoprire il nome delle cose.

Nella separazione di cui ti parlavo prima, era sempre un elemento a mancarmi: l’amore. Come se non esistesse un polo fondamentale di un’esperienza che altrimenti avrebbe faticato a esistere. Vita e more, bene e male, amore e odio. Ed eccomi a scoprire che non esistevo solo nel polo opposto all’amore ma che una volta sono stato generato dall’oscillazione opposta. E forse nella mia testa è stata un’oscillazione più breve, forse la mia testa compie un gioco strano cancellando l’amore, ma la scoperta di un prima mi ha sbilanciato e ha reso effabile quel bisogno di riversare amore che provavo. Certo c’è voluto del tempo, all’inizio era tutto troppo forte e mal gestito. Ma sapere di avere tanto potenziale ha aiutato a gestire e incanalare verso il “giusto” la potenza.

E, quando ero quasi certo di aver imparato, sei arrivato tu a sbilanciare di nuovo tutto. L’equilibrio è questione di attimi, forse è semplice illusione. E la pratica, per me, arriva sempre prima della parola. Così mi ritrovo solo ora a scrivere finalmente con chiarezza di te e dell’esperienza che stiamo vivendo e a realizzare che l’amore non si divide ma si moltiplica. E che tu sei stato un moltiplicatore d’amore, un segno che accresce e reso la mia e la nostra capacità di voler bene ancora più solida e concreta. Inaspettato, non cercato, felicemente scoperto come possibile e concreto. Quando parlo d’amore, caro Angelo, parlo anche di te. Parlo dell’ammirazione che provo per la persona che sei e per la storia che hai. Parlo della faticosa ma lieta strada che mi ha portato a scrivere questa pagina. Parlo dell’idea di possibilità che non esista un odio totalizzante perché nemmeno l’amore lo è al di fuori dell’adolescenziale idea che ci viene raccontata.

Quando parlo d’amore parlo di quel sentimento che provo per due persone che hanno conosciuto insieme a me la sensazione d’affetto prima che il nome che le persone utilizzano per descrivere quell’affetto. Quando parlo d’amore parlo della necessità di ascoltare, mediare, tenere insieme, venirsi incontro, sorridere, sostenersi, avere paura insieme, esperire la rabbia la depressione la gioia la risata con la stessa voglia di restare. Quando parlo d’amore parlo di non chiudere strade di pensieri che mi portano gioia nonostante la fatica e la stanchezza.

Nel giorno del tuo compleanno, ci tenevo a scriverti che se mi chiedessero di cosa parlo quando parlo d’amore, io risponderei che parlo di noi.

Con tutto l’amore che riesco, Mattia.

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